Psicologia: Identità locale e comunitaria
Identità locale e comunitaria: un viatico al benessere personale ed alla cittadinanza attiva…la genesi di un Progetto che sa da farsi!!!
Di Salvatore Rotondi (Psicologo, Presidente APS – Psicologi in Contatto Onlus)
Prima Parte…
Cosa è più importante: la mappa o il territorio? Cosa definisce, poi, un territorio: gli oggetti o le persone? Le persone, infine, come acquisiscono la loro identità: individualmente o in seno ad una comunità? Queste sono le domande (insieme a tante altre) che da anni mi hanno spinto ha riflettere sui sistemi umani (nella loro complessità), sulle istituzioni (da quelle internazionali, nazionali e, infine, locali) e sui singoli individui che compongono e animano, come cellule viventi, tutti questi enti sovraumani.
Attraversando vari punti di vista e confrontandomi negli anni con vari esperti del settore (antropologi, psichiatri, psicoanalisti, psicologi, sociologi, economisti, architetti, medici, avvocati, politici, etc.), ho sviluppato la profonda convinzione (avvalorata poi dal modello del Multistrato Complesso (2012) del prof. Guelfo Margherita) che le interconnessioni trasversali e multi-sistemiche delle organizzazioni umane incidono profondamente sulla psiche e sul vissuto di ogni singolo individuo. In particolare la mia attenzione si è rivolta alle masse aggregative e gruppali umane, contenute in strutture comunitarie e stanzianti in zone specifiche, i cui Genius Loci, nonché le storie e identità condivisibili, ne determinano il vissuto e l’immaginario rispetto alle possibilità ed all’uso delle risorse disponibili onde realizzare un futuro volto al ben-essere individuale e collettivo.
Ho notato così che l’assenza di una identità spaziale definita, narrabile, condivisibile in positivo, tende a rendere gli individui che abitano un territorio più o meno capaci di esprimere a pieno le proprie potenzialità sia personali che comunitarie.
Sulla scia degli studi di psicologia sociale di Kurt Lewin e sul suo amore per quella che professionalmente è chiamata “ricerca-azione”, mi sono fortemente convinto che una azione sinergica tra Top-down (indicazioni istituzionali) e Bottom-up (iniziative cittadine) potessero raggiungere un obiettivo specifico: migliorare la qualità della Vita delle persone e accompagnare le stesse alla piena affermazione del loro sé.
In tal senso, diviene fondamentale promuovere tale azione sinergica, attraverso il sostegno delle istituzioni rappresentative di un territorio e la libera organizzazione dei cittadini, tutti accomunati dal desiderio di costruire insieme una identità ed una narrazione positiva per il territorio in cui abitano.
Nello specifico qui vorrei parlare di Brusciano, un comune nella provincia di Napoli che da tantissimi decenni ha visto aumentare sia gli immobili abitativi che il numero di abitanti: una vera e propria esplosione demografica dovuta, inizialmente, ad una forma di immigrazione forzata dovuta ai fatti del sisma irpino del 1980. Ad oggi possiamo dire che, degli iniziali immigrati per necessità sul territorio bruscianese, chi abita quei luoghi ha già raggiunto la terza generazione di residenti: definirli ancora “immigrati napoletani” mi sembra quindi alquanto offensivo (così come offensivo è definire non italiano un qualunque cittadino che, per religione o colore della pelle, sembra non appartenere alle cosiddette “comunità originarie” italiane). Eppure, ad oggi risulta ancora possibile individuare luoghi specifici dove si addensano, si aggregano tali figli di immigrati: individuo tale luogo nel rione Tirone e, più specificatamente, in tutta la zona di edilizia popolare dell’ex legge 219.
Nell’ultimo anno, diverse Associazioni del territorio hanno così inteso promuovere (ripercorrendo un percorso ancora più antico nel tempo) un percorso volto ad un processo di connotazione identitaria positiva, per tutti gli abitanti bruscianesi, della suddetta zona. Essere infatti identificati con un numero, cosi come si faceva con gli ergastolani o con altri soggetti istituzionalizzati e senza una vera e propria personalità, rende profondamente difficile il dialogo tra cittadini e ghettizza un’intera fetta di popolazione che, in questo modo, vive esperienze di abbandono e degrado, nonché crea spazi di nessuno in cui il malaffare ha terreno fertile su cui piantare i semi della propria corruzione e zizzania (non certo i buoni tuberi che una volta provenivano dalle stesse zone). Se non si ama il posto in cui si vive, d’altronde, è perché non ci si identifica con esso e il fantasma del terremoto e dell’essere stati spostati da un luogo di appartenenza per andare ad abitare in un altro, a cui non si appartiene originariamente per azione e storia, genera inevitabilmente fenomeni di diffidenza, emarginazione e precariato (tutti fenomeni conosciuti in ambito delle periferie degradate delle grandi città). …
Continua nel prossimo post…