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Laboratorio Lettura

Macande – Eppure Quel Giorno C’era il Sole

Romanzo originale di Alessandro Cavaliere

Primo Capitolo (Risveglio)

Svegliarmi, a volte mi capita di svegliarmi come se la mia testa fosse conficcata in una bolla. Trascinato in una diversa realtà; in un tempo e luogo che appartengono a una vita che non voglio più rammentare. Quella maledetta e bastarda cosa, mi trascina su dei ricordi che non ho nessuna voglia di rivivere. Mi sveglio, forse no, forse quando succede questa strana cosa della bolla, in quei momenti, resto per qualche istante sospeso tra due mondi. Il primo di caos e dolore:

Un fischio perenne che sembra scavare dentro i timpani per poi poter arrivare al cervello. DOLORE. Una serie infinita di sofferenze, lamenti tanti lamenti. TORPORE. Poi c’è anche quella maledetta puzza… Puzza di bruciato che non vuole andar via dalle narici”.

L’altro mondo, invece, parlo di quello di tutti i giorni, è normale, la vita scorre simile a quella di tanti altri ragazzi della mia età almeno in apparenza. Un’esistenza in cui vivo l’ammucchiarsi dei giorni, come potrebbe fare una scrivania annoiata quando sopporta il peso della confusione di chi vi poggia le sue cose alla rinfusa. Sapete, inizio questa storia descrivendo la mia personale bolla perché, quasi certamente, tutte o parte delle cose di cui vi parlerò hanno origine proprio da lì. Il caos, che in quei momenti mi prende la testa, è racchiuso proprio in quella sporca e mera cosa che mi opprime alcune volte quando mi sveglio. Ho una brutta capoccia se proprio devo essere sincero. Devo dire che ho dormito per quasi un anno e questa mia dannata testa è peggiorata sicuramente, ma ve ne parlerò più avanti.

I dottori dicono che, tranne per alcuni problemi psicologici dovuti al forte trauma che ho vissuto, non ci sono altre conseguenze fisiche. La mia testa non ha bisogno di nessun intervento chirurgico o l’ausilio di qualche terapia invasiva. Però, non è di questo che voglio parlare; non voglio raccontare di dottori o ospedali anche se alcune volte sarò costretto, per forza di cose, a citare alcuni di questi elementi. Il mio nome, comunque, è Maco. Mi chiamo Maco Funi e ho pressappoco 21anni. L’anno scorso mi sono diplomato al liceo di Poma, una grossa cittadina di provincia piena di fabbriche, scuole e palazzi. Poma è a un tiro di schioppo dalla cittadina in cui vivo io: Macande.

Se Poma è piena di attività e brulica come un dannato nido di vespe in primavera, Macande è un paese morto in cui le persone vivono e muoiono in un’assonnata quotidianità fatta di poche cose; molti di loro neanche ci passano tutte le ore della loro dannata giornata a Macande; alcuni ci tornano giusto per ficcarsi una cena schifosa nello stomaco, per guardare la loro maledetta TV o sprecare ore davanti a un computer per poi dormire, perché il giorno dopo si ricomincia.

Poma, però, non è certo migliore di Macande è piena di palloni gonfiati, di ragazze insipide e di coglioni. La città deve il nome, secondo un noto storico del luogo, a un condottiero dell’antico impero che in questa nazione ha costruito città e monumenti un po’ ovunque, riempendo il territorio di ricordi legati a un passato glorioso che ormai, ve lo dico io, è bello che andato. Comunque sia non vi tedierò con la storia di Poma, forse alcuni di voi la conoscono anche meglio di me. A Poma mi sono diplomato alla fine, ma non è che mi garbi più di tanto. La storia che voglio raccontare ha come arco temporale proprio gli ultimi mesi in cui ho frequentato il liceo, anche se a volte mi capiterà di sforare e parlare di fatti che sono successi molti anni prima. È un mio problema sapete, io sforo sempre, perdo sempre il filo del discorso e mi ritrovo sperduto a volte chissà dove neanche fossi uno di quei tipi che…

Ma lasciamo stare, altrimenti, mi ritrovo ancora una volta a perdere tempo, e il maledetto filo del discorso andrebbe di conseguenza a farsi benedire.

Tornando a uno di quei momenti in cui, quando mi sveglio, mi sembra di avere la testa conficcata in una dannata bolla, il giorno da cui voglio partire per narrare gli avvenimenti di questa storia e proprio uno di quelli in cui mi sono risvegliato con quella cosa incastrata intorno alla mia testa.

Era quasi mezzogiorno. In aula c’era l’insegnante di inglese. Quella stronza mi odiava ve lo giuro, non mi poteva sopportare o almeno era quello che credevo. Forse era solo il suo modo per strapparmi dal mio torpore, quello di tormentarmi e di usare la mia persona come esempio per i suoi mega cazziatoni. Quel giorno, però, la tipa mi ignorò del tutto, mi ero addormentato già l’ora precedente, se devo dirla tutta, quando un supplente spiegava alcune affermazioni di un noto filosofo morto secoli prima e di cui non rammento il nome. Stavo dormendo appunto. Mi risvegliai proprio quando la campanella suonò la fine dell’ora di inglese, perché i miei compagni di classe dissero quasi a unisono: <<goodbye teacher>>.

Aprii gli occhi con la testa conficcata in quella dannata bolla. Mi fischiavano le orecchie e mi pulsava il cervello; sentivo il corpo fare un male cane e gli occhi inumidirsi come se una malinconia maligna e bastarda si fosse appiccicata al cuore. Poi c’era quell’odore di bruciato, quel maledetto odore che ti si conficcava nelle narici e non ti lasciava.

<<Sei sempre il solito coglione>>. Una voce femminile, fastidiosa e pungente, ebbe l’effetto di un ago sulla bolla e plock, in un attimo, quel mondo in cui ero perso spari, con il dolore e tutto il resto, solo la puzza di bruciato sembrava rimanere per un po’ una volta fuori dalla bolla, ma era solo un’impressione.

<<Clarabella, amore mio dolcissimo che ore sono?>> Era quella dannata di Clara Ricci la capoclasse e rappresentante studentesca, che aveva come missione tormentare il sottoscritto e tutti i lavativi della scuola. Naturalmente con me era una partita persa. La chiamavo Clarabella come il personaggio, con le fattezze di mucca, di un fumetto che leggevo quando ero bambino. Lei si infuriava terribilmente per quel mio soprannome, forse perché era meno simpatica del personaggio in questione e non assomigliava a una mucca. Però, sapete, ho imparato che l’aspetto fisico non conta un cazzo quando si parla di personalità, forse, influisce in qualche maniera, ma nascere carini e belli non ti garantisce il non diventare uno stronzo o una stronza.

<<Idiota sei… Sei…>>

<<Calmati che ti si incarta la lingua e già sei fastidiosa quando non diventi una macchinetta inceppata, ma che ore sono?>>.

<<Mezzogiorno! Ti sei svegliato proprio durante il momento della giornata che preferisci di più, Funi>>. Disse Clara, quella patata lessa non mi chiamava mai per nome, cinque anni nella stessa classe e non mi ha mai chiamato per nome quella stronza.

<<La pausa pranzo>>.

<<Ecco!>>

<<Quale orario migliore mia dolce confettino avvelenato>>. Le dissi stuzzicando ancora di più la sua frustrazione. Ero un mago a provocare la gente, un fottuto mago. Avrei potuto far bestemmiare anche un Sant’uomo se ne avessi mai incontrato uno, giuro.

<<Amore mio, visto che siamo in pausa, potresti allontanare la tua persona dal mio spazio vitale e farmi respirare? Ma soprattutto mangiare in santa pace?>> Le dissi facendo cenno con la mano di allontanarsi.

<<Sei uno stronzo, Funi, hai dormito per quasi tre ore…>>

<<Bugiarda, mi sono addormentato nell’ora di filosofia, quando c’era il supplente, e anche se non ne sono sicuro era l’ora prima di quella di inglese, uhm… Ora che ci penso, come mai la tua amata insegnante di inglese non mi ha fatto partecipe di uno dei suoi pipponi morali sul vivere in modo giusto e sano gli anni della nostra giovinezza?>>. Le dissi interrompendola, lei mi suono in testa un quaderno, forse proprio quello di inglese, girò i tacchi, e se ne andò.

<<Ti amo, lo sai vero?>> Le urlai dietro e qualcuno in classe ridacchiò. Non ero molto popolare a scuola o quanto meno nessuno mi si inculava più di tanto, ero uno dei ragazzi del giorno nero e questo mi garantiva una certa tranquillità. Poi sono sempre stato un tipo che cerca la solitudine e di imboscarsi quanto più possibile, non amavo la popolarità e non amavo la vita scolastica, frequentavo il liceo solo per scansare il lavorare e per evitare di passare più tempo del necessario a casa. Luogo in cui imperversava quell’anima candida di mio nonno, Marco Lira, invalido che grazie alla sua pensione tiranneggiava, all’epoca di questo racconto, me e mia madre. La mia famiglia si era spaccata quando avevo 12 anni. Mio padre era andato via di casa e mia madre era stata costretta ad arrabattare qua e là qualche lavoro, arrangiandosi, spaccandosi la schiena per quattro soldi. In questo modo era riuscita a mandare avanti la nostra famiglia. Quando poi, si era abbattuta la crisi economica su questo nostro dannato paese, avevamo accolto mio nonno in casa. Era rimasto vedovo e nessun familiare se la sentiva di accollarsi quel vecchio bastardo pedante e un sacco di altre cose che, forse, un nipote non dovrebbe scrivere per rispetto. In poche parole c’eravamo trovati nella condizione di dipendere da lui. Mia sorella Valentina per sfuggire alla precarietà della nostra famiglia aveva scelto di sposarsi con il suo fidanzato che lavorava in una delle fabbriche di Poma, cosi s’era sistemata. Aveva preferito filarsela.

Tornando alla mia vita scolastica, ero uno studente che in una situazione normale, che non avesse contemplato il giorno nero, di cui vi parlerò in questo scritto, sarebbe stato cacciato o quanto meno costretto a lasciare la scuola. Quel giorno, mentre mangiavo il pranzo preparatomi da mia madre, insalata di riso e frittata con formaggio e prosciutto, i ricordi fecero capolino nella mia testa e la bolla sembrò ripresentarsi. Mangiai tutto senza quasi assaporarlo. Mangiai nel mio angolo. A volte prendevo e andavo sul tetto a mangiare, come fossi uno dei protagonisti di quegli anime che tanto mi piacevano e che anche oggi guardo volentieri, ma non ero uno di loro. Non ero altruista e pronto a impegnarmi per gli altri. In realtà non volevo impegnarmi per nessuno e comunque nella vita reale gente simile, forse, neanche esiste; tutti facciamo cose per ricevere altre cose in cambio, siamo dei fottuti mercanti noi esseri umani.

Quando ebbi finito di mangiare andai al distributore di bibite e presi una bottiglia di tè verde, cavolo quanto adoro il tè verde ne berrei litri, forse dopo la cola è la bevanda che adoro di più. A ogni modo bevvi il mio tè e attesi che la pausa pranzo finisse. Il mio angolo di mondo a scuola era il posto in ultima fila, vicino a uno dei finestroni che davano sui giardinetti della scuola. Dalla mia classe si poteva vedere anche il magazzino; la piccola chiesa del sacro redentore e parte del teatro.

Il Liceo era stato costruito dopo il grande terremoto che aveva colpito la nostra regione, una decina d’anni prima della mia nascita. Era una scuola abbastanza nuova e costruita, in teoria, per dare agli studenti tutto il necessario per una serena e bella vita scolastica. In realtà era un luogo abbastanza triste e ameno, dopo neanche tre decenni, dalla sua costruzione già aveva bisogno di parecchi lavori di manutenzione, ma i soldi chissà perché non c’erano mai.

Finito il tè mi appoggiai nuovamente sul mio banco, mentre i miei compagni di classe rientravano per riprendere le lezioni. Molti andavano a mangiare nei giardinetti alcuni in mensa, ma la mensa era un posto tristissimo, in cui cucinavano delle cose tristissime e che molti utilizzavano solo per consumare i pasti portati da casa.

Il cibo cucinato nella mensa se lo mangiavano solo gli studenti che non si potevano permettere un pasto decente da casa e alcuni insegnanti, anche il preside mangiava sempre alla mensa, nonostante facesse schifo quello che cucinavano. Poi ci costringeva una volta a settimana tutti a mangiare quella roba. Era molto permissivo per il resto, ma almeno una volta a settimana ci voleva tutti insieme in quella dannata e sporca mensa.

Quel posto era stata chiusa una decina di volte durante gli anni che sono stato studente, sempre per problemi igienici e una volta per aver intossicato proprio il preside e alcuni studenti. Però, quel dannato vecchio si ostinava a mangiare lì tutti i santi giorni, anche ora penso che mangi lì, ci mangerà fino alla sua pensione.

Cazzo… Ci sono degli uomini che cascasse il mondo faranno sempre le stesse dannate cose. Se il mondo finisse durante la pausa pranzo del liceo di Poma quel dannato preside, fosse ancora in servizio, mangerebbe lì come niente fosse mentre il mondo gli crolla in testa.

Incominciai a dormire nuovamente, fui risvegliato da quella dannata Clarabella che batté uno dei suoi quaderni proprio sul mio banco, quella stronza pur di tormentarmi s’era fatta spostare vicino a me.

<<Buongiorno, Maco>>. Disse il professore d’italiano, attirato dal fracasso che quella stronza aveva fatto con il suo dannato quaderno. Avevo gli occhi di tutta la sporca classe puntati contro, come telecamere rivolte su una star. Solo che non ero una star ma Maco quello che, solitamente, dormiva in classe.

<<Buongiorno, professor Senna>>. Gli risposi, cercando di non sembrare imbarazzato. Avevo imparato a indossare una fantastica maschera di nonchalance così efficace che io stesso avrei detto: “quel Maco Funi è proprio un gran bel tipo, è proprio un gran bel paraculo non se ne sbatte di niente e di nessuno”.

Il professore mi sorrise. Era un gran bel tipo anche il professor Giulio Senna; aveva sì e no 40anni, forse, era uno degli insegnanti più giovani dell’istituto, ma di sicuro era il più in gamba. Mi dispiaceva sempre dormire durante le sue lezioni. Giuro mi dispiaceva un casino. Lui era capace di renderti la scuola meno orribile di quanto in realtà fosse. Era bravo. Mi piacevano le sue lezioni e nella sua materia andavo bene, anche senza l’aiuto di quello che mi era successo anni prima. Cazzo quanto mi dispiaceva fare il coglione quando c’era lui, ma non seppi fare altro che indossare la mia maschera e fingere che non m’importava che m’avesse beccato a dormire.

<<Stiamo parlando di Pirandello>>. Mi disse, gli sorrisi.

<<Gran pezzo d’uomo quel Pirandello mi va veramente a genio>>. Gli dissi ricomponendomi, avevo il mento bagnato di saliva, mamma mia quanto odiavo quando sbavavo durante i miei pisolini a scuola ma succedeva quasi sempre. Presi un fazzoletto e mi asciugai, man mano gli occhi della classe mi si staccarono di dosso.

<<Allora sarai contento di essere tornato tra noi>>. Mi disse, e credo che, se non fosse stato l’insegnante, avrebbe riso. Era un tipo veramente in gamba e non so perché io gli andassi a genio. Forse perché ero l’unico che non cercasse di fare bella figura durante le sue ore di lezione. L’unico a essere se stesso quando ci dava qualche tema da scrivere a casa o in classe. Ero sempre me stesso nel bene e nel male e questo gli piaceva, credo.

<<Contentissimo professore, una vera pasqua. Quasi come se fosse natale e sotto l’albero invece del carbone avessi trovato, che ne so, un telefonino nuovo>>. Mamma mia quanto ero idiota, volevo fare il brillante. Assomigliare a uno di quei ragazzi protagonisti di un romanzo di formazione che tanto piacevano al professor Senna.

<<Quando hai finito di fare lo spaccone, Maco, vai in bagno e datti una sciacquata a quella tua faccia di bronzo e con la signorina Clara state un po’ fuori dall’aula a riflettere>>. Mi disse e istintivamente mi girai verso Clara, la quale era diventata rossa come un pomodoro maturo. Avrei voluto ridere, ma non potevo peggiorare la mia situazione.

<<Ma professor…>>

<<Zitta, Clara…>>. Le disse perentorio, mentre riprendeva il libro tra le mani e si dirigeva alla lavagna.

<<Non è bello dormire durante le lezioni, ma non mi piace neanche chi sbatte quaderni sui banchi dei compagni di classe o peggio…>>. Aggiunse rincarando la dose. Evidentemente sapeva del vizietto di Clara di colpirmi con qualsiasi cosa avesse a portata di mano, quando la facevo incavolare. Lei si azzittì e mestamente mi seguì fuori.

Quando fummo fuori dall’aula le dissi: <<Vado a prendere i secchi d’acqua>>. Lei incrociò le braccia e si poggio imbronciata al muro, la lasciai perdere e andai nei bagni. Era consuetudine far reggere dei secchi d’acqua agli studenti in punizione, nel mio liceo, quando venivano sbattuti fuori dall’aula per qualche motivo che indispettiva l’insegnante. Il vecchio preside amava quel tipo di punizioni, non era una persona che approvasse le punizioni corporali e comunque, negli anni che ho frequentato il liceo, erano già proibite da tempo quel tipo di cose. Era impensabile che un insegnante usasse la violenza contro uno studente. Però, alcune punizioni, meno invasive e che si ritenevano, chissà per quale motivo educative, erano sopravvissute. Ero un habitué di quel tipo di punizioni.

Arrivato in bagno mi sciacquai il viso sul serio come mi aveva suggerito il professore. Lo feci più che altro quasi per una sorta di rispetto, poi andai all’armadietto del bidello e presi i secchi.

<<Sei un vero stupido Funi, uno stupido>>. Mi disse Clara quando mi rivide, non le risposi estrassi i due secchi pieni da quelli vuoti e versai dell’acqua in quest’ultimi. Clara prese i suoi secchi e si mise silenziosa vicino la porta della nostra classe, io mi posizionai poco distante da lei. Non dissi nulla neanche in quel momento. Nessuna delle mie battute brillanti.

<<Chi avete fatto arrabbiare?>> La voce di Loy, un mio vecchio amico d’infanzia che viveva nel mio stesso quartiere giù a Macande, ci raggiunse divertita. Quel coglione di Loy trovava sempre spassose cose che in realtà di spassoso non avevano niente.

<<Senna>>. Gli risposi.

<<Bel casino>>. Commentò lui sorridendo.

<<Fatti i cazzi tuoi e smettila di bighellonare nei corridoi, che se vai avanti così non riuscirai a passare in terza neanche quest’anno>>. Gli dissi stizzito, era un mio amico ma quanto mi stava sul cazzo certe volte. Lui si avvicinò a noi come non avessi detto nulla e ci sorrise.

<<Fare incazzare il buon vecchio Senna è una cosa difficile, solo tu Maco ci potevi riuscire>>. Quel cazzone chiamava buon vecchio chiunque anche un bambino se lo conosceva. Come mi irritava Loy in certi momenti.

<<Ti levi dal cazzo?!>>. Gli dissi cercando di non gridare.

<<Ok, ok come sei dannatamente nervoso, Maco, e comunque non tutti siamo così fortunati da essere lasciati in pace dai professori e da quel dannato vecchio inacidito del preside, alcuni di noi sono costretti a sorbirseli e a pagare lo scotto delle proprie azioni>>. Mi disse Loy, si riferiva al fatto che io appartenevo ai ragazzi del giorno nero e che a quelli nessuno diceva un cazzo di niente. Era vero, m’avessero beccato a urinare nei corridoi nessuno m’avrebbe fatto niente. Odiavo Loy spesso e volentieri ma non per quelle sue affermazioni del cazzo, era un fottuto bastardo senza un minimo di delicatezza ma almeno lui era sincero. Gli stava sul piffero, come stava sul piffero un po’ a tutti il modo in cui il mondo ci trattava. Quasi fossimo di vetro. Però almeno Loy era sincero, esternava senza peli sulla lingua quella sua antipatia per il modo in cui venivamo trattati noi del giorno nero. Anche Clara, a suo modo, esprimeva quell’emozione ma lo faceva cercando di farla passare per altro e la cosa mi irritava e per questo non la reggevo.

<<Comunque, bambolotto, io quest’anno riesco a passare in terza, non ho nessun buco in pagella>>.

<<Gesù ha fatto il miracolo>>. Dissi e fu allora che Clara intervenne nella conversazione.

<<Non citare Gesù a sproposito e specialmente per un tizio orribile come lui>>. Era una fottuta credente, nel nostro paese la religione di stato creava un esercito di soldatini devoti, Dio quanto mi stavano sui cosiddetti i fottuti credenti.

<<Dai vado Maco, che la signorina qui è una di quelle che fa la spia e non vorrei farle bere l’acqua dai suoi secchi>>. Disse Loy allontanandosi.

<<Belli amici che hai>>. Disse Clara non appena Loy fu sparito.

<<È un buon diavolo a suo modo>>

<<Certo come no, è solo un lavativo che non combinerà mai nulla nella vita>>.

<<Pensa alla tua di vita, sei una dannata rompipalle Clara, neanche fossi uno di quei ministri di Dio che fanno le prediche dall’altare…>>

<<Sei uno blasfemo…uno…>> Si era inceppata nuovamente, non riusciva a insultare a tono era quasi cattiveria infierire su di lei, quindi, stetti in silenzio e lei non aggiunse altro. Iniziò a piangere sommessamente. Quanto mi stava di traverso sul culo quando faceva così. Sospirai. Posai i secchi e mi misi difronte a lei. Mi guardò stralunata non capendo le mie intenzioni. Presi un fazzoletto dalla tasca e le asciugai le lacrime. Tremava.

<<Vai in bagno a sciacquarti la faccia, che altrimenti Senna ci fa rimanere oltre l’orario per sapere come mai, la capoclasse, ha gli occhi rossi di pianto>>. Lei annuì goffamente, posò i secchi e andò in bagno; mentre stava lì andai a svuotare quei stramaledetti secchi, m’ero stufato di stare fuori dalla classe. Quando tornai lei era lì.

<<Perché hai già posato i secchi? Siamo in punizione>>. Mi disse, evitando di guardarmi negli occhi, a volte non capivo quella dannata ragazza. Non le risposi, bussai alla porta e attesi che il professor Senna rispondesse. Quando lo fece mi affacciai in classe e gli chiesi se potevamo rientrare e lui disse di sì

Per il resto della lezione Senna continuò a parlare di Pirandello, ma a quel punto avesse anche parlato di una donna stupenda io non avevo voglia di seguirlo. Quando facevo piangere qualcuno mi seccavo e diventavo depresso. Evitai di riaddormentarmi, Senna non avrebbe fatto nulla in proposito, ma mi seccava riaddormentarmi durante la sua lezione. Così passai il tempo a guardare fuori e per un attimo, che fu brevissimo, ma anche tanto doloroso, rividi un pezzo di quello che mi era successo anni prima. Rividi davanti agli occhi un frammento del giorno nero, che tanto aveva cambiato la mia vita.

II

<<Ehi… Bell’addormentamento non sperare che ti dia un bacino per riportarti alla realtà>>. La voce di Loy mi raggiunse come sempre con il suo solito ronzio fastidioso. Sospirai. Era quasi l’ora di tornare a casa e come sempre Loy mi veniva a cercare per non farsi la strada da solo. Era stato bocciato un paio di volte al ginnasio e altre due volte in seconda liceo, in pratica era il più vecchio studente della scuola. In quel periodo frequentava la seconda e sembrava che le cose gli andassero bene, forse gli insegnanti si erano seccati di tenerlo a bighellonare nell’istituto, visto che non si decideva mai a ritirarsi. Gli altri studenti, per la maggior parte, evitavano Loy; anche perché lui aveva un pessimo carattere e non si tirava mai indietro quando si trattava di menare le mani per far valere le proprie ragioni. Aveva rischiato tante volte la sospensione, e nei suoi primi anni scolastici era stato bocciato non solo per gli scarsi risultati ma anche per le tante note disciplinari. Una volta aveva anche malmenato un insegnante, ma la cosa era passata in sordina perché l’insegnante era un tipo balordo che sbavava dietro le studentesse. Loy lo picchiò per difendere una compagna di classe, lui fu sospeso, l’insegnante allontanato.

<<Un tuo bacio al massimo potrebbe trasformarmi in un rospo>>. Gli risposi e lui mi diede un colpetto con una delle sue secche mani a paletta sulla spalla. Loy era molto alto e secco come un chiodo, aveva capelli biondi che portava lunghi, occhi neri brillanti e piccoli e un viso squadrato e dai lineamenti non molto perfetti, che non lo rendevano brutto ma neanche bello, poi in quel periodo aveva preso la fissa per i baffi. S’era fatto crescere due ridicoli baffetti che gli stavano malissimo, ma di cui era profondamente orgoglioso. Loy si credeva e si crede un maledetto adone.

In classe i miei compagni si stavano preparando per tornare a casa. In una classe, anche se in apparenza non sembra, si creano sempre dei gruppetti che bene o male interagiscono tra loro, isolando spesso quei pochi ragazzi che non riescono a socializzare. È strano come i solitari siano persone che non riescano a far gruppo neanche tra di loro. Io ero un tipo solitario, non avevo legato con nessuno dei miei compagni. Con alcuni di loro ero andato qualche volta al cinema, ma giusto per fare qualcosa di diverso. In realtà gli unici amici che avessi a scuola erano Loy e un altro ragazzo, Aki, ma quest’ultimo in quel periodo era quasi sempre impegnato con la sua ragazza.

<<Quest’anno te ne vai da qui finalmente, bestia>>. Disse Loy, che senza pensarci due volte o farsi problemi prese una sedia e si sedette proprio di fronte al mio banco.

<<Così sembra>>. Ribattei, guardavo fuori dalla finestra, il cielo era cupo.

<<Sarà così, chi vuoi che ti bocci a te. Passerai e magari ti affibbieranno un bel voto>>. Insistette Loy facendomi l’occhiolino e muovendo la sua mano, come se fosse stata una pistola per indicarmi, se aggiungete anche degli strani schiocchi che faceva con la bocca potete farvi un’idea di quanto fosse idiota Loy.

<<Se non studia non avrà un bel voto>>. Disse Clara sedendosi al suo banco e facendo finta di sistemare la sua borsa. Quella buffona parlava con noi, ma nello stesso tempo faceva finta di ignorarci.

<<Credici Clara, questo mondo non ha giustizia. Il signorino qui prenderà sicuramente un voto discreto>>. Disse Loy.

<<Se studiasse sarebbe tra i migliori della classe, ma preferisce vegetare e accontentarsi di essere trattato con riguardo per… per…>>. Non finì la frase.

<<L’unico modo che hai per essere bocciato è non presentarti proprio all’esame, credo>>. Disse Loy cercando di spostare goffamente l’attenzione dalle parole pronunciate da Clara.

<<Forse è quello che farò, forse in quei giorni andrò nella Capitale per far visita a Lara>>. Dissi senza distaccare gli occhi dal vetro della finestra, vedevo riflesso il volto di Clara che restava chino sulle sue cose e l’immagine di Loy che, come al suo solito, non riusciva a stare fermo.

<<Saresti un vero stupido se facessi una cosa del genere>>. Disse Clara, a quel punto si alzò. Suono la campanella. Il frastuono della classe che defluiva fuori. Lei restò ferma per un attimo, la borsa poggiata sul banco. Mi girai verso di lei.

<<Beh per te lo sono già, darti la conferma non mi costerebbe nulla>>. Le dissi, lei si mise la borsa a tracollo e andò via senza rispondere o salutare.

<<Quella tizia è strana forte, non so mai come giudicarla a volte penso che abbia un debole per te Maco, ma poi visto come ti tratta mi dico che mi sbaglio>>. Disse Loy alzandosi.

<<Ti sbagli di sicuro, lei mi odia. È una di quelle che studia un casino e che per avere bei voti deve sputare sangue, non concepisce che un tipo come me, che invece non studia per niente, abbia voti decenti e soprattutto un trattamento di riguardo>>.

<<Ora non voglio fare il difensore d’ufficio Maco, lo sai sta cosa rompe forte anche a me, ma tu sei saltato per aria, t’hanno quasi ammazzato e poi…>>. Feci cenno a Loy di tacere. Poi mi alzai a mia volta e cominciai a incamminarmi.

Facemmo il percorso, che dalla mia classe portava all’androne della scuola, in silenzio. Sulla soglia dissi: <<Forse tra poco piove, hai l’ombrello con te?>>

<<No, ma non mi dire che vuoi fartela a piedi Cristo>>.

<<Mangi come una bestia, non fai mai nulla tutto il giorno e sei secco come un chiodo, forse l’unica attività fisica che fai è quando torniamo a casa a piedi>>. Gli dissi il cielo era proprio imbronciato.

<<Costituzione, potrei mangiare anche un bue vivo e non metterei un grammo, poi mio nonno mi ha insegnato a masticare. Voi altri il cibo quasi non lo masticate io invece lo trituro ben bene>>. Mi rispose, cavolo se era vero ci metteva anche un’ora per buttar giù un pasto quello sbruffone.

<<Per questo hai le mandibole forti e la lingua sempre pronta ad assecondare le tue menate, ti alleni masticando>>. Gli dissi e lui rise. Quando arrivammo al cancello iniziò a piovigginare.

<<Adiamo in stazione Maco, oggi non è proprio una buona idea farsela a piedi>>. Mi disse Loy che sperava cambiassi idea. Era buffa questa cosa. Lui era più grande di me, eppure, ero io quello che prendeva le decisioni. Se decidevo di tornare a casa a piedi non c’era verso che mi convincesse di fare il contrario e anche bofonchiando e lamentandosi mi veniva dietro.

<<Per questa volta>>. Il cielo era proprio uno schifo e non mi andava di tornare a casa zuppo, l’ombrello che avevo bastava a stento per coprire me, e avrei dovuto dividerlo con quello spilungone di Loy che non c’era verso che si portasse qualcosa di utile dietro come un ombrello.

<<Per questa volta>>. Ripeté lui felice, così ci avviammo verso la stazione. Solitamente io preferivo farmela a piedi erano tre chilometri da scuola a Macande, dovevamo passare per il piccolo paesello di Castello che divideva Macande da Poma. Castello è una macchia di palazzi che si dilungano dalla via principale. È chiamato così per via di quattro sassi sopravvissuti nel corso dei secoli all’incuria. L’antico castello era stato costruito su rovine imperiali, poi, dopo i secoli bui, era stato abbandonato, e man mano la gente aveva riutilizzato le sue pietre e quello che si poteva riciclare di quel luogo per altre costruzioni. Del castello originale rimanevano quattro sassi e qualche colonna. Sarebbe stato più appropriato chiamarlo appunto Quattro Sassi, ma la gente si sa è sbruffona, preferisce abitare in un paese che si chiama Castello, anche se il castello non esiste più, che quattro sassi.

Percorremmo, la strada che ci divideva dalla sopraelevata, senza fretta. Quella frase – senza fretta – era quasi un’etichetta che in quel periodo avrebbe potuto descriverci. La soprelevata collegava alcuni paesi della provincia Nord Est di cui facevano parte anche Macande, Castello e Poma; era stata costruita anni dopo il grande terremoto per sostituire una linea di ferro a terra vecchia di 50anni e rendere il servizio più veloce. All’inizio era stato veramente un bel progetto, anche se le stazioni avevano trovato posto nelle periferie dei paesi interessati dalla sopraelevata. Così ti dovevi fare un bel po’ a piedi se abitavi al centro e soprattutto passare anche dalle favelas venute su proprio nelle zone di periferia di molti paesi della provincia. Non erano un gran bel posto in cui passeggiare a piedi. Per me e Loy era indifferente noi abitavamo in un quartiere popolare che poteva anche essere considerato l’anticamera delle favelas o forse un vero e proprio ghetto per persone povere. Per noi del vecchio quartiere popolare di Macande la cosa più conveniente era scendere alla fermata di Castello molto più vicina al nostro quartiere, ma forse la stazione di Macande era una delle poche che non si trovasse in prossimità di una favelas. Nelle stazioni, poi, c’erano stati vari incidenti nel corso degli anni, alcune ragazze stuprate, furti e risse. Così per un po’ c’era stato un servizio di guardie giurate e qualcuno si era beccato anche delle pallottole. Un tizio di Macande, che non era né del mio quartiere né delle favelas, era stato ucciso proprio da alcune guardie giurate, che l’avevano beccato a stuprare una signora. Il tizio era un idiota che viveva al centro, ma che i balordi non fossero esclusiva dei quartieri malfamati o delle favelas era cosa risaputa.

Non c’erano mai stati grossi incidenti sui treni della sopraelevata, nessun deragliamento o cose simili. Poi, però, era giunta la crisi e il paese si era impoverito parecchio, la nostra regione era piena di debiti, disoccupati e criminalità. I politici a volte sono criminali peggiori di certi camorristi. Così era andato tutto in malora sopraelevata compresa. Uno schifo, le stazioni abbandonate, niente più sorveglianza se si escludevano i carabinieri e la polizia che pattugliavano le strade. Poveri cristi tutta la responsabilità di mantenere l’ordine era piovuta su di loro. Le stazioni a poco a poco erano state depredate. Letteralmente smontate pezzo per pezzo come fossero costruzioni fatte di lego. Un disabile per prendere il treno doveva e deve farsi accompagnare, gli ascensori non funzionavano quasi in nessuna stazione.

I ladri s’erano portati via tutto quello che si poteva smontare, non funzionava più nulla e certo i treni che pure erano messi male. Persino quelli nuovi, arrivati con i soldi del governo nazionale. Solo Poma aveva mantenuto un po’ di decoro.

<<Maco, ma sul serio vuoi pigiare l’esame?>>. Mi chiese Loy.

<<Cosa cambierebbe se lo facessi? Potrei prendere il diploma l’anno prossimo insieme a te. Sai che ridere>>. Gli risposi, non avevo mai pensato di pigiare l’esame in verità. Almeno non fino a quel giorno. Era stato più uno slancio avuto per indispettire Clara. Però un’idea un po’ bislacca si stava insinuando in me.

<<Sei pazzo amico, io pagherei per poter essere al tuo posto e svignarmela da quella prigione>>. Mi disse Loy. Dannato bastardo hai passato più anni tu in quell’istituto che chiunque altro studente e parli così, pensai sorridendo.

<<Che ti sghignazzi bestia?>> Mi chiese Loy notando il mio sorrisetto cattivo. Era quel sorrisetto che facevo ogni volta fiorivano in me pensieri maligni. Ero proprio uno stupido a quei tempi io e i miei sorrisetti idioti.

<<Cosa farai dopo il diploma, Loy?>> Gli chiesi assecondando quel mio fare cattivo, sapevo che Loy temeva il futuro più di ogni altra cosa, dopo la scuola andare all’università per lui sarebbe stata una perdita di tempo e denaro e comunque i suoi non potevano permettersi di mantenere ancora un figlio degenere per gli anni dell’università che, Loy, avrebbe potuto anche far diventare infiniti.

<<Non saprei, ma l’università non mi dispiacerebbe>>. Mi disse e io scoppiai a ridere.

<<Sei un coglione, Maco>>. Fece lui contratto e indispettito e si mise a camminare più forte. Il cielo incominciava a sputare sempre più acqua anche se non la si poteva ancora chiamare pioggia.

<<Come sei fatto tu, finisce che ti fanno rettore onorario dell’università, prenderai la pensione come studente>>. Dissi ridendo, Loy fece una piroetta e tentò di colpirmi con la sua borsa, per poco non mi prendeva quel mammalucco.

<<Oh… Sei scemo vuoi ammazzarmi?>>. Gli dissi tornando serio.

<<Sei un coglione, Maco, per questo nessuno ti si fila, e per questo sei ancora un dannato verginello>>. Mi disse riprendendo a camminare.

<<Guarda che non sono più vergine, durante le vacanze estive con i miei cugini c’è stata una…>>

<<Sì, sì… Me l’hai già raccontata questa storia ma io non è che ci credo più di tanto>>.

<<Fai come vuoi tanto è la verità>>.

<<Senti, Maco, mi hai fatto passare la voglia, me ne vado al baretto giù in stazione a giocare un po’ a qualcosa>>. Mi disse avanzando il passo, l’avevo fatto veramente arrabbiare.

<<Non spendere tutti i tuoi cazzo di soldi in macchinette>>. Era uno che quando stava storto poteva spendere un capitale in quelle dannate macchinette dei bar.

<<Tranquillo, non ho tanto grano con me al massimo mi metto un po’ a guardare, ci vediamo più tardi>>.

<<Oh almeno portati l’ombrello>>. Gli dissi lanciandoglielo, il bastardo si girò appena in tempo per afferrarlo al volo.

<<Grazie mammina, spero che ti becchi la pioggia e ti inzuppi fino alle ossa>>. Mi disse continuando a camminare.

<<Che bell’amico, dopo che ti ho anche prestato l’ombrello sei un gran bell’amico>>. Gli urlai contro, ma a quel punto eravamo arrivati alla stazione di Poma, quella centrale, la cittadina è talmente grossa che ha più di una fermata, anche Macande ne ha più di una, ma è uno sputo messa a confronto con Poma, che veniva fornito in alcune zone anche da un’altra linea della metro e aveva una compagnia di pullman tutta sua che giravano per il paese.

Quando arrivai sulla banchina notai Clara poggiata a un pilastro che leggeva chissà cosa. Era strano trovarla lì, lei era così puntuale che solitamente prendeva il primo treno disponibile. Quasi tutti gli studenti si affrettavano a prendere quel treno in verità, perché il secondo treno, dopo l’orario di uscita, era quasi sempre in ritardo e perdevi una buona mezzora ad aspettare.

Quando prendevo il treno a me non dispiaceva aspettare, perché mi evitava di ritrovarmi in una calca assurda di studenti, pendolari e passeggeri. Loy invece voleva sempre prendere quello che passava a ridosso della fine delle lezioni. Perché così poteva strusciarsi su qualche ragazza, era un depravato maniaco e anche oggi non è cambiato di una virgola.

Mi sedetti su una panchina ad aspettare ben lontano da Clara. Aveva cominciato a piovere e anche bello forte. Per un po’ non successe nulla, sulla banchina c’erano alcuni studenti ritardatari e dei signori che parlavano e fumavano poco distanti da me. Discutevano sul fatto che il governo invece di aiutare i cittadini li stavano rovinando. Questa cosa mi crea un nervoso. Tutte le discussioni sulla politica mi creano un nervoso. La gente vorrebbe cose a parole belle e linde, ma nei fatti sono peggiori dei politici che eleggono. Stanno rovinando i cittadini? Allora perché vi ostinate a votarli? Sospirai avrei voluto cambiare zona per non sentirli ma non volevo avvicinarmi a Clara, preferivo quei tizi alle sue prediche.

Cavolo quando parlavo con quella ragazza erano solo sermoni e prediche, se non ti vado a genio perché non mi abbandoni a me stesso? Pensavo a quei tempi. Comunque dopo un po’ fu lei ad avvicinarsi.

<<Sempre il solito Funi, vero? Mi hai vista lì da sola potevi anche raggiungermi e farmi compagnia invece sempre a farti i cazzi tuoi>>. Mi disse. Avrei voluto prenderla a pugni, lo so che non è bello. Non si prendono le donne a pugni. Una donna non si schiaffeggia neanche con un fiore avrebbe detto quel dannato Loy. Diciamo che non è proprio bello prendere a pugni nessuno, anche se a volte lì per lì ti dà soddisfazione non facciamo gli ipocriti. Mollare un bel pugno sul grugno di uno sbruffone ti fa sentire bene lì per lì. Certo picchiare una donna, per quanto possa irritarti, non è da persone civili e non ti fa star bene neanche lì per lì: chi picchia una donna e prova soddisfazione è uno schifoso. Solo le bestie picchiano le donne, ma Clara mi suscitava quel tipo di voglia. Non che abbia mai assecondato certi pensieri, ma quante volte una persona vi fa venire voglia di picchiarla? Non fate gli ipocriti, solo che poi non lo fai mai se sei un cristiano con tutti i neuroni al posto giusto.

<<Stavi leggendo non volevo disturbarti>>. Le risposi semplicemente, quella dannata mi si sedette vicino.

<<Ci sto credendo sul serio eh>>. Mi disse.

<<Senti visto che, ormai, è quasi certo che aspetteremo quel maledetto treno insieme ci spostiamo più avanti?>> Le chiesi lei scrollò le spalle e mi seguì docilmente devo dire.

<<Il tuo amico coglione?>> Mi disse parlando di Loy, che sì era un coglione ma lei perché si prendeva sempre certe confidenze? Capite ora perché l’avrei presa a pugni?

<<Aveva di meglio da fare>>. Risposi vago non mi andava di raccontare tutta quella maledetta storia che era successa.

<<L’hai fatto incazzare, vero? Sei un maestro a fare incazzare la gente>>.

<<Tu mi batti sicuramente>>. Le dissi e lei ridacchiò, quando rideva la voglia di prenderla a pugni spariva devo essere onesto, solo che non rideva così spesso e, quindi, era più il tempo che la odiavo che quello in cui la trovavo carina. Ci sedemmo.

<<Sei carina quando ridi>>. Le dissi, più di istinto che per altro e me ne pentii quasi subito. Lei si strinse nelle spalle, poggiò i pugni sulle sue gambe e abbassò la testa senza dire nulla.

<<Hai visto che tempo schifo?>>. Dissi per cambiare argomento. Lei ancora niente. Per un po’ restammo in silenzio. Quel dannato treno era maledettamente in ritardo.

<<Mica vorrai veramente saltare l’esame?>> Mi chiese tutto a un tratto. Feci spallucce.

<<Non fare l’idiota come tuo solito, Funi, e rispondimi sinceramente>>.

<<Ma a te cosa importa, mi domando>>.

<<Sono la tua capoclasse ho l’obbligo morale di… di…>> S’era inceppata nuovamente.

<<Comunque sia non voglio pigiare l’esame, l’ho detto così tanto per dire, anche se quella cosa mi ha fatto venire una strana idea>>.

<<Una delle tue idee balorde sicuramente>>.

<<A volte sembri mia moglie tanto mi conosci bene, la stramaledetta mia mogliettina dei miei stivali, neanche sai quello che ho in mente e parli…>>Mi bloccai stavo diventando sferzante e solitamente quando battibeccavamo così lei scoppiava a piangere.

<<Se ti fa star bene ti prometto che non pigerò l’esame, d’accordo?>> Le dissi per non farla piangere. Lei sospirò e annuì. In quel momento arrivò Loy.

<<Ohi, voi due innamorati, sempre insieme vi becco>>. Ci disse con il suo solito modo idiota di dire le cose.

<<Lei preferirebbe morire, credimi Loy>>. Commentai io alzandomi, il treno stava arrivando anche lei si alzò senza dire nulla.

<<Sarà pieno visto il ritardo>>. Disse Loy, e infatti era pieno. Entrammo a fatica. Ora io non sono un gentiluomo e neanche un dannato cavaliere, ma a volte mi viene di fare il gentile e quindi, quando Clara si posizionò nell’angolo del vagone, io mi piazzai davanti a lei. Così nessun maniaco poteva prendersi qualche passaggio.

<<Non ho bisogno che fai l’eroe tanto non cambio opinione su di te>>, Mi disse e io rimpiansi di aver fatto il carino. Chissà che opinione allucinante ha di me, pensai, non dissi nulla. Non mi andava di iniziare a litigare. Il treno si avviò e in quel momento lei si appoggiò a me. Credetemi rimasi schiantato veramente. Era un po’ più bassa di me, io sono un tipo alto, non certo come Loy, ma sopra la media sicuramente. Lei appoggiò la sua testa sul mio petto. Poi con un braccio si strinse a me, ragazzi che fatti, veramente che fatti che a volte succedono. Sentii i suoi seni contro il mio corpo e iniziai a provare calore. Avevo paura di avere un’erezione proprio in quel dannato momento e per colpa di quella benedetta di Clara. Lei era tutta aderente a me e si stringeva. Arrivati alla stazione di Castello pensavo si staccasse, perché molta gente sarebbe scesa proprio lì compreso io e Loy.

<<Non scendere qui>>. Mi chiese lei. Loy quando si aprirono le porte scese senza pensarci e credo rimase di stucco quando non mi vide uscire. Infatti squillò il mio cellulare.

<<Sarà quel dannato di Loy che si chiede perché non sono sceso>>.

<<Non devi per forza rispondere>>. Mi disse lei restando appiccicata a me.

<<Ohi Loy sono rimasto bloccato, c’era troppa folla scendo direttamente alla prima di Macande, recuperò l’ombrello dopo>>.

<<Sei il solito coglionazzo>>. Mi rispose Loy prima di attaccare.

<<Se non avessi risposto, sarebbe stato capace di chiamare a oltranza>>. Le dissi lei non rispose, le misi un braccio attorno la vita. Cavolo quanto ero nervoso, ma in certi casi il mio corpo agisce anche contro la mia forte timidezza. La strinsi e lei non protestò.

Arrivati a Macande prima che il treno si fermasse lei alzò la testa, aveva gli occhi acquosi e strani, ma erano belli come il suo viso, avvicinò la sua bocca alla mia e mi baciò.

Ci baciammo fino a che il treno non si fermò completamente.

<<Scendiamo all’altra>>. Mi disse, cavolo avrei dovuto fare un bel po’ di strada a piedi e anche lei, che viveva nel quartiere vicino al mio, ma facemmo come chiese. In quei casi le donne l’hanno sempre vinta, comandano loro in quei casi tu puoi solo stare ad assecondarle. Quando il treno ripartì ricominciammo a baciarci. Cavolo quanto stavo bene. Quando arrivammo alla seconda fermata di Macande ci staccammo l’uno dall’altra.

Usciti dal treno lei fece qualche passo per raggiungere le scale.

<<Non farti strane idee Funi, non è che tu mi piaccia più di tanto>>. Mi disse per mettere le cose in chiaro. Sorrisi.

<<Tranquilla lo so che voi donne a volte, come dire, avete bisogno di conforto e per quanto noi uomini ci sentiamo dei fighi è solo fortuna se ti ritrovi a gironzolare attorno a una pupa in quei momenti>>. Le dissi da spaccone qual ero. Lei si girò e mi diede uno schiaffo.

<<Non sono una puttanella e chi dice pupa al giorno d’oggi? Sei un cretino Funi>>. Mi disse e mi sentii veramente tale e la voglia di prenderla a pugni mi tornò rabbiosa e pulsante, tanto quanto mi pulsava la guancia su cui lei si era divertita a piazzare la sua mano a paletta. Le donne sono strane. Prima ti dicono che non devi farti idee sbagliate; che loro non ti amano e via discorrendo, poi, però, se le rispondi che capisci e che non ti frega ti mollano dei sonori schiaffoni o delle grane se ti va più liscio di quanto non era capitato a me. Scendemmo le scale in silenzio. Fuori pioveva quasi che le nuvole fossero divenute dei serbatoi sfondati a colpi di badile.

<<Hai l’ombrello?>>. Mi chiese.

<<L’ho prestato a Loy>>.

<<Il solito coglione>>.

<<Tranquilla vai, aspetto che finisca e poi mi avvio. Sono un fanatico delle passeggiate>>.

<<Lo so, ti vedo spesso prendere la via di casa a piedi. Sinceramente non ti capisco Funi, tu per me sei un mistero>>. Mi disse e poi poggiò le sue dita sulla guancia dove mi aveva colpito prima.

<<Neanche tu sei tanto comprensibile se vogliamo dirla tutta>>.

<<Comunque non credere che ti amo o cose simili solo per quello che è successo>>.

<<Non dico nulla, non voglio un altro schiaffo>>.

<<Scusa ho esagerato>>. Mi disse e mi diede un bacio dove prima aveva poggiato le dita.

<<Oh, ora capisco perché piove Santa Clara da Macande chiede scusa. Oggi è una giornata memorabile>>. Dissi, lei si poggiò al muro, poi inclinò la testa verso l’alto.

<<Se vuoi dividiamo il mio ombrello, è molto grande dovremmo starci se ci stringiamo>>. Mi disse.

<<Come vuoi, non sei obbligata>>.

<<Lo so ma mi va, oggi sono strana>>.

<<Puoi dirlo forte>>. Lei aprì l’ombrello era veramente grande. Ci stringemmo sotto il suo grande ombrello e iniziammo a camminare. La pioggia batteva forte ma per fortuna non c’era molto vento, quindi si poteva camminare senza rischiare di finire zuppi nonostante l’ombrello e tutto. Lei mi prese la mano.

<<Tanto piove e nessuno ci vede>>. Mi disse, era veramente strana quel giorno.

<<Sei fortunata che non sei finita sotto l’ombrello con un tipo come Loy altrimenti, a questo punto, subivi una perquisizione>>. Non so perché dicevo certe stronzate, odiavo quelli che si facevano belli offendendo gli amici.

<<Magari invece sono stata sfortunata, magari voglio che mi…>>. Disse non completando la frase, cavolo come odiavo questo tipo d’atteggiamento. La sua risposta mi lasciò stranito. Per un po’ non dicemmo nulla. Restammo in silenzio cercando di non farci schizzare dalle macchine che passavano lungo la strada che, dalla stazione, portava al centro del paese.

Quella strada era tremendamente solitaria, di notte era una linea di luci mal messe che tagliavano il buio. Deglutii e come era successo sul treno il mio corpo iniziò ad agire. La strinsi a me, niente non disse nulla. Allora con la mano le strusciai lungo la vita fino a sotto le ascelle. Lei mi lasciò la mano e mi mise il braccio attorno al corpo. Cavolo come mi stavo eccitando. Allungai la mano fino al suo seno e glielo toccai, lei non protestò. Non passava nessuna macchina ed eravamo in pratica soli in quella lingua di strada nelle campagne di Macande. Aveva dei seni stupendi almeno così mi apparvero quel giorno. Lei si dilungò verso di me e mi baciò. Camminavamo e ci baciavamo mentre le toccavo il seno che situazione balorda. Quando arrivammo più vicino al centro, però, smettemmo. Sarebbe stato sconveniente farci vedere in quell’atteggiamento. Forse se l’avessi trascinata da qualche parte, pensai dopo ma quasi certamente non sarebbe venuta. Un conto e limonare un po’ un altro e arrivare a fare certe altre cose più spinte. Arrivammo in paese tranquilli senza dire nulla. Quando giungemmo sotto casa sua pioveva ancora. Mi rassegnai a farmi un bel bagno. Lei mi trascinò vicino al portone. Era conficcato all’interno di un arco che si dilungava dalla strada almeno di un metro e mezzo. In quella situazione nessuno poteva vederci. Mi baciò nuovamente e ci strusciammo un po’. Cavolo come ero eccitato. Poi mi allontanò.

<<Dovrei farti tornare a casa sotto la pioggia, così almeno raffreddi i tuoi bollenti spiriti>>. Mi disse sorridendo e poggiandosi al portone di spalle mentre chiudeva l’ombrello. Poggiò un piede sul portone e quasi mi venne voglia di afferrarla ma mi trattenni.

<<Tieni>>. Disse, e dopo aver rovistato nella sua borsa cacciò un ombrellino di quelli che premevi il pulsante e ti si aprivano di scatto.

<<Chi cavolo va in giro con due ombrelli>> Le dissi prendendolo.

<<Una persona saggia, questo lo porto sempre con me per qualsiasi evenienza, quindi, lo lascio sempre in borsa anche se porto quello più grande>>. Mi spiegò lei e la trovai maledettamente carina quando lo fece.

<<Ok, grazie ci vediamo domani>>. Le dissi aprendo l’ombrello e avviandomi verso la strada.

<<Domani riportamelo intatto come l’hai ricevuto altrimenti ti rompo la testa>>. Mi urlò prima di sparire dietro al portone.

<<Ok capo>>. Le urlai pensando che non mi avesse sentito.

<<Coglione>>. Ribatté lei ridacchiando. Sorrisi e mi incamminai verso casa. Non avrei bigiato l’esame di maturità, ma si era insinuata in me una strana idea. Un’idea che in quei giorni crebbe sempre di più.

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