Cronache di Macande Quartiere Peppino Impastato

Cronache di Macande Quartiere Peppino Impastato

Racconto I – Quartiere Peppino Impastato 10 marzo 2019

Racconto originale di Alessandro Cavaliere (Aleks Kishi)

Cronache di Macande: progetto anti-camorra curato dall’associazione Mithril Art ODV

Per fortuna, Maco, la sera precedente era andato a dormire. Aveva rifiutato l’invito di Loy a bighellonare in giro per Macande. Sarebbero finiti nel vecchio stabile diroccato che, come un castello in rovina, sostava ai confini di quella piccola cittadina del Sud. Loy si sarebbe ubriacato con della birra scadente e lui, astemio, avrebbe dovuto sopportare i suoi vaneggiamenti. Quanti sabato sera aveva trascorso così? Tanti. Troppi. Quando riaprì gli occhi cercò a tentoni il suo cellulare per vedere l’orario. Era la domenica delle Palme.

Nel suo quartiere un gruppo di fedeli, della Sacra Vergine Maria, stava facendo un baccano enorme. Ogni anno era sempre la stessa storia. Ogni anno quel baccano bussava alla finestra della sua stanza e lo riportava alla realtà del suo piccolo paese di Provincia. Maco non era una persona molto religiosa. Aveva un rapporto con Dio tutto suo. Quindi, era più propenso a lanciare improperi che preghiere in quelle occasioni. Non detestava quelle persone, ma solo il fracasso che facevano per dimostrare la loro devozione.

<<Fortuna che stanotte ho dormito e non sono andato in giro con quel demente di Loy>>. Disse a voce alta. Il suo stomaco brontolò. Non c’era niente di commestibile in casa. Sarebbe dovuto uscire e fare colazione da qualche parte, ma si disse che forse sarebbe stato meglio aspettare l’orario di pranzo. Sua madre dormiva ancora. Aveva fatto il turno di notte. Faceva l’infermiera in una clinica privata. In quel periodo tiravano a campare, arrangiandosi e arrabattando quel poco di lavoro che c’era, come tante famiglie del quartiere popolare di Macande. Quelle che cercavano di mantenersi oneste. La Nazione stava vivendo una crisi economica di quelle che portavano la gente a suicidarsi, oppure, alla sopravvivenza spicciola: quella fatta di espedienti e fatica mal pagata per cercare di tirare avanti alla meglio.

Quel mese, quasi sicuramente, gli avrebbero staccato il gas, però, Maco aveva un piano per recuperare. Ci sarebbero voluti alcuni mesi e un po’ di lavoro e sudore. Sospirò. La gente in strada faceva ancora casino. Si mise a leggere un libro per tenersi occupato. Non voleva accendere il computer e sprecare il suo tempo sui social o guardando qualche serie televisiva. Trascinandosi così, come uno zombie, fino all’orario in cui sua madre gli avrebbe comunicato cosa avrebbero mangiato quel giorno. Un libro sarebbe stata sicuramente una compagnia migliore. Trascorsero alcune ore e finalmente il corteo di fedeli della Vergine Maria si dissipò. La sua cagnolina iniziò ad abbaiare e scodinzolare.

<<Hai fame?>>. Le chiese mentre l’accarezzava. La piccola meticcia sembrò rispondergli di sì con un guaito. Era cieca per via del diabete. Maco l’accarezzò. In quel momento si udirono degli scoppi, così forti che la cagnolina iniziò ad abbaiare più forte ma per lo spavento. Fosse Stato ancora vivo quel malessere di suo nonno avrebbe sicuramente iniziato a tirar giù tutti i santi del paradiso, la Vergine Maria e forse pure nostro Signore in persona, per poi chiudersi dentro in attesa che qualcuno gli comunicasse che quel frastuono era solo il gioco di qualche ragazzino annoiato con due fuochi d’artificio avanzati dall’ultimo capodanno, cosa che succedeva pure nel quartiere.

<<Quei maledetti anche i fuochi di artificio, non gli basta cantare e far baldoria>>. bisbigliò adirato, pensando che forse la buonanima gli aveva fatto venire in mente l’idea giusta, ma non erano fuochi d’artificio. Sua madre entrò in stanza pallida in volto.

<<Maco, si stanno sparando in strada, sta succedendo un macello>>. Gli urlò quasi terrorizzata. Maco pensò subito alla sua povera macchina, parcheggiata nel grande spiazzale antistante la fila di caseggiati in cui abitavano. In quel periodo, Macande, era diventata lo scenario di una guerra di camorra. A volte a Maco quella situazione gli dava l’idea di stare assistendo a una parodia amara. Una di quelle robacce scritte da qualche sceneggiato televisivo che trattava la cruda vita di chi si dedicava a delinquere. Nel vicoletto, dove affacciava il suo palazzo, ormai piazza di spaccio, c’era un via vai di gente e di balordi. Risse, sparatorie, addirittura qualche volta c’era stato il lancio di alcune bombe carta. Tutte queste cose erano diventate una sorta di manifesto quotidiano di quella zona di Macande.

Maco, pensò che a breve, grazie ai soldi ricevuti come risarcimento quando la camorra incluse lui e la sua scolaresca della terza media in gita nei suoi piani dinamitardi, si sarebbe trasferito in un quartiere più tranquillo di Macande. La camorra aveva più volte, anche se in modo indiretto, tentato di ammazzarlo. Però, c’era quasi riuscita quando lui aveva tredici anni, quella volta avevano ammazzato un sacco di gente tra cui un giudice. Però, a Maco non andava di ricordare quei momenti e i soldi avuti come risarcimento li contemplava solo per la sua nuova vita fuori dal quartiere popolare.

<<Calmati, chiamiamo la polizia>>. Disse a sua madre, evitando di menzionare l’auto per non farla agitare di più. Preso il telefono Maco si mosse verso la finestra del soggiorno per controllare la situazione. Nel vialetto c’era il caos. Gente che urlava, donne e bambini che correvano in ogni direzione. Un ragazzo bloccato da quattro cinque energumeni che lo malmenavano. Poi, mentre stava digitando il numero d’emergenza, si udirono le sirene della polizia. C’era stato qualcuno più veloce di lui. Il suo telefono squillò. Era la sua amica Viola Sorrentino. Una giovane giornalista che scriveva per un quotidiano nazionale. Le cattive notizie viaggiano veloci, pensò Maco.

<<Viola, non c’ero e se c’ero dormivo e se dormivo sognavo di non stare a Macande>>. Disse Maco rispondendo alla chiamata.

<<Buffone, che sta succedendo ‘a là dereto?>> Chiese la ragazza in modo aggressivo.

Maco le rispose: <<Guarda che Là dereto si chiama Quartiere Peppino Impastato>> poi sospirò, non se la sarebbe scrollata di dosso così facilmente, così, le iniziò a raccontare quello che dalla sua piccola finestra bianca aveva visto e sentito, ma questo non bastò alla sua amica che canzonatolo nuovamente come buffone patentato gli riattaccò il telefono in faccia. Capitava anche questo a Macande era una città pittoresca, con gente pittoresca e con situazioni pittoresche, eppure, Maco in fondo a Macande le voleva bene, perché era come lui, una sorta di tizio, personaggio poco immaginario e tanto assurdo di qualche sceneggiatore o peggio scrittore da due soldi.

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